La Chimera del Museo Archeologico di Firenze

La Chimera del Museo Archeologico di Firenze

Tra le opere conservate presso il Museo Archeologico di Firenze la più famosa è senza dubbio la Chimera.
Conosciamo meglio la sua storia.

Il 15 novembre del 1533, durante alcuni lavori di scavo presso le mura della città di Arezzo, un statua in bronzo emerse dalla terra.
Rappresentava un leone in posizione d’attacco, fauci spalancate e artigli all’infuori, con una testa di capra che gli spunta dalla schiena e la coda a forma di serpente.
Si trattava di una scultura di origine etrusca, la cui storia millenaria affonda le radici nel mito e si trasforma poi in uno dei simboli del potere della famiglia dei Medici.

La Chimera. Museo Archeologico Nazionale

Nella mitologia greca la Chimera era un mostro a tre teste che distruggeva ogni cosa con le fiamme che uscivano dalle sue tre bocche.
Fu stanata e uccisa dall’eroe Bellerofonte, che in sella al cavallo alato Pegaso riuscì a inserire la punta della sua lancia nelle fauci del mostro. Il fuoco fuse il metallo e la bestia morì soffocata.

Bellerofonte cavalca Pegaso e uccide la Chimera

Il mito fu conosciuto anche dagli Etruschi e la statua costituiva in origine un’offerta votiva al dio Tinia, la divinità corrispondente a Zeus e Giove.
Probabilmente faceva parte di un gruppo scultoreo in cui era presente anche Bellerofonte, nell’atto di attaccare il mostro.
L’opera venne realizzata nel IV secolo aC e più tardi fu sepolta per poterla preservare. Di essa si persero le tracce per secoli.

La Chimera esposta a Palazzo Vecchio

Appena rinvenuta, Cosimo I ne rivendicò il possesso. Il principe non rimase affascinato soltanto dal suo valore e dalla sua bellezza: il mostro era la perfetta allegoria di tutte le forze ostili che i Medici avevano affrontato e sconfitto per dare vita al Granducato di Toscana.
Per questo Cosimo la espose nella sede più prestigiosa, Palazzo Vecchio, centro del potere della Signoria e residenza dei Medici. La statua seguì il principe anche nel trasferimento della corte a Palazzo Pitti, dove il granduca la pose nel proprio studiolo, occupandosi personalmente della sua cura e della sua pulizia.